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Chiese

Chiesa dell'Assunta,

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la Chiesa Madre, originariamente era stata edificata in un luogo diverso e dedicata a S. Maria Maggiore.Nel 1546 fu trasferita nella località attuale in seguito ad una donazione fatta da Enrichetta Sanseverino, dei duchi di Somma, feudataria di Felitto.
Nella posizione attuale "si crede edificata da Errichetta Sanseverino de' duchi di Somma Signora del Feudo. E come ella viveva nel 1546; perciò circa questo tempo dové edificarsi; essendo stata l'Armi della medesima dipinte su un muro dell'Atrio ... vi si videro sino all'anno 1773".

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La Chiesa si sviluppa per una una lunghezza di m. 30 e per una larghezza di m. 10. A sud l'abside poligonale irregolare, con le nicchie, la centrale dedicata a M. SS. Assunta, titolare. Alla sommità tre finestroni a vetro bianco e verde a forma di croce. Lo stile non è ben definito, attualmente prevale il romanico modernizzato. Si accede alla chiesa attraverso l'atrio esterno, con quattro bellissime arcate di stile diverso che aprono lo sguardo su un vastissimo e verdeggiante panorama. A sud il campanile alto circa 40 metri. Internamente vi è una bellissima scalinata in pietra, a chioccia, occupante la prima parte della salita.

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Un cenno a parte meritano le statue lignee di S. Giuseppe, scolpita nel 1733, e di S. Ciriaco, anteriore al 1728.

 

Chiesa del S. Rosario,

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La chiesa del S. Rosario, di proprietà dell’Università, sembra sia stata costruita intorno al 1200, per interessamento del padre domenicano Urbano Palomonte di Felitto. Alla chiesa faceva capo anche una congrega, che in seguito venne chiamata congrega dell’Addolorata e, dopo ancora, congrega di Carità. Ma l’attuale edificio, però, è di molto posteriore alla chiesa originaria poiché nella relazione delle visita pastorali del 1606 non si fa alcun riferimento a detta chiesa. Si trovano notizie nel verbale del 1698 nel quale si fa esplicito riferimento alla chiesa del Rosario precisando che si trova fuori dell’abitato ed appartiene all’università mentre la gestione è affidata a due Gubernatores uno eletto dal clero e un altro dall’università. Si fa riferimento inoltre agli altari presenti nella cappella: quello di S. Martino e di San Rocco entrambi con icona.
Di sicuro il culto della madonna del Rosario era già diffuso nelle nostre zone ma riprese con maggiore forza dopo la vittoria della battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 che vedeva contrapposti i Turchi alla lega formata da Spagna, Venezia e Santa Sede. Si racconta che nel momento più difficile della battaglia l’intervento della Vergine venisse sollecitato ed accordato visto che i turchi vennero sconfitti.
Verso la fine del Seicento vicino alla chiesa del Rosario venne costruito un oratorio che doveva serviva alla congrega per le sue riunioni. Su una pietra angolare dell’edificio, si legge una scritta: “Mariosae Russo fecit”, che, molto probabilmente, sta ad indicare nome di colui che scolpì il portale di pietra. A confutare tale ipotesi c’è il ritrovamento di un’altra iscrizione uguale sul muro di un altro edificio della stessa epoca.
Nel 1716 diviene confraternita. La confraternita era un tipo di associazione laica con fini religiosi e mutualistici che poteva possedere cappelle, altari e rendite, ed era dotata di uno statuto. Nello statuto della confraternita del Rosario si fa esplicito riferimento alle regole che i confratelli dovevano rispettare, i diritti di cui godevano e gli onori che dovevano ricevere al momento della morte.
Oggi all’osservatore la chiesa appare completamente diversa da come doveva essere agli inizi a causa dell’incomprensibile restauro a cui fu sottoposta negli anni settanta.


Cappella di S. Maria di Costantinopoli,

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Il piccolo tempietto della madonna di Costantinopoli che sorge ai piedi del monte Chianiello nella contrada Casale è uno dei santuari Mariani d’Italia e ancora oggi a tanti anni dalla sua fondazione si accompagna nel cuore dei felittesi ad un sentimento di tenera devozione.
Grazie ad uno scritto del felittese Giustino Pecori, Regio Ispettore Provinciale sopra i monumenti e scavi di antichità, è possibile ricostruire buona parte delle vicende di questo santuario.
Le informazioni fornite dal Pecori sono confutate dai verbali delle visite pastorali del 1760 nel quale non c’è nessun riferimento alla cappella mentre nel verbale della visita compiuta da monsignor Siciliani nel 1870 vengono riportate le buone condizioni della cappella di Santa Maria di Costantinopoli situata fuori dell’abitato. C’è però un riferimento ad una Chiesa di Santa Maria dello Casale negli Statuti Comunali del 1539.
Nel registro dei battezzati del 1789 si legge del grande clamore che ebbe il ritrovamento della cappella e dei grandi festeggiamenti che si fecero.
Sembra sia stata edificata nel 1591 per volere di Giannalfonso Allegro che, in qualità di esecutore testamentario del fratello, fece costruire l’antica cappella intitolata alla Madonna di Costantinopoli e fece affrescare la parete dietro l’altare con l’immagine della Vergine che si innalza tra le nuvole con ai piede due uomini in adorazione, forse proprio i due fratelli Allegro.
A causa della pestilenza del 1656 il villaggio venne abbandonato e il tempietto fu dimenticato.
Poi nel 1789 a quasi 2 secoli dalla fondazione, come si legge nel registro dei battezzati, la cappella venne è proprio il caso di dirlo, miracolosamente ritrovata da un contadino di Fogna, casale di Laurino. L’uomo Cosimo Valestrino da tempo soffriva per la sua infermità era infatti storpio e una notte ricevette in sogno la rivelazione del luogo in cui sorgeva il tempio che trovò abbandonato e coperto da ruderi e arbusti.
La sua guarigione miracolosa e quella della signora Pinto di Sassano fecero notizia ed attirarono nella contrada Casale numerosi pellegrini. Si racconta infatti che anche la signora Pinto di Sassano fosse costretta all’immobilità ormai da molti anni e che trascorresse tutto il tempo nel letto oppure su di una sedia. I familiari prima di andare ad attendere al lavoro dei campi le lasciavano a portata di mano tutto ciò di cui potesse avere bisogno e poi uscivano.
Una sera la donna racconto ai familiari che aveva sognato un Bella Signora che diceva di essere la Madonna di Costantinopoli e che l’aspettava a Felitto esortandola a raggiungerla; alle proteste della donna che sosteneva di non potere andare perché paralizzata la Signora rispose che avrebbe ricominciato a camminare e che doveva farsi accompagnare dai suoi figli a Felitto mostrandole il cammino.
I figli non diedero peso alle parole della donna e tutto fini lì.
Alcune sere dopo la donna parlò nuovamente della Bella Signora arricchendo la descrizione di molti particolari, ma ancora una volta i figli non la ascoltarono anzi cercarono di convincerla che, anche con l’aiuto di un mulo quello per lei era un viaggio troppo duro e che in fin dei conti i sogni sono solo sogni e non bisogna prestarvi troppa attenzione.
Una delle sere successive però accadde qualcosa di straordinario, al loro rientro i figli trovarono con grande meraviglia che l’occorrente che le avevano lasciato accanto al letto quella mattina si trovava disposto in bell’ordine sul tavolo. Stupiti della cosa chiesero alla donna chi fosse venuto durante il giorno e soprattutto come avesse fatto ad entrare e la donna rispose semplicemente che era venuta a trovarla la Bella Signora che l’aveva aiutata ad alzarsi per rimettere le cose in ordine sul tavolo così i suoi figli le avrebbero finalmente creduto.
I figli a quel punto si convinsero, caricarono la madre sul mulo e partirono seguendo le indicazioni che la donna dava loro.
Giunti a Felitto trovarono la cappellina semidistrutta e su una parete l’immagine della bella signora emergente da una nuvola di Angeli e santi. Da quel giorno la donna guarì rapidamente.
Le guarigioni miracolose dei due scopritori fecero scalpore e molti furono i fedeli provenienti da Laurino, Fogna, Castel San Lorenzo e Roccadaspide che si riunirono per i festeggiamenti e grazie alle loro offerte ma soprattutto agli sforzi dei Felittesi e dei Sassanesi che venne costruito l’attuale tempietto, che incorporò la vecchia cappellina, nel 1815 come testimoniano diverse fonti dell’epoca.
L’affresco, che ormai era molto rovinato, venne fedelmente ricopiato su tela ed è stato fatto restaurare agli inizi degli anni ottanta dall’artista Anna Maria Ivano grazie all’interessamento della Sovrintendente di Cosenza, Maria Pia Di Dario e dei coniugi Giuseppina e Giuseppe Bertone.

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Il santuario della madonna di Costantinopoli ha un valore particolare per i felittesi ma non solo è infatti l’unico edificio di culto che nel corso degli anni non è mai stato abbandonato a se stesso ma che anzi ha sempre ricevuto delle attenzioni continue cosa singolare è che nelle visite pastorali i vescovi hanno sempre descritto il tempio in buone condizioni.
Un culto quello della madonna di Costantinopoli che proviene da lontano si presume infatti che risalga agli inizi dell’VIII secolo quando una immagine della vergine Odegitria (che mostra la vera via) giunse sulle coste pugliesi al seguito dei monaci basiliani in fuga dalle persecuzioni che imperversavano in oriente
Il culto della madonna ha origini molto antiche venne introdotto nelle nostre zone, e si diffuse con gran rapidità, dai monaci Brasiliani venuti dall’Oriente. Raggiunse ancora maggior diffusine durante il XVI secolo quando la popolazione fu decimata dalle epidemie.
La festa della Madonna di Costantinopoli che si celebra la seconda domenica di settembre continua ad essere dei fedeli che provengono da vari paesi del circondario ma non solo, in particolare non mancano mai i pellegrini provenienti da Villa Littorio, l’antica Fogna, e da Sassano che uniscono le loro cente (barche) a quelle dei felittesi per sfilare in processione al seguito della barca d’oro. Quest’ultima è una struttura in legno ricoperta di velluto nero su cui vengono sistemati gli ex voto in oro offerti dai fedeli ne corso degli anni.
Le cente sono delle strutture in legno con candele, nastri e carta colorata che vengono trasportare sul capo dalle donne che si aiutano interponendo tra la centa ed il capo la spara un grosso fazzoletto sapientemente arrotolato così da formare un cuscinetto su cui poggiare la barca.
La barca d’oro invece è trasportata da una giovane vestita di bianco in abito da sposa.
Il tragitto da percorrere è abbastanza lungo ed è lo stesso che si ripete nello stesso modo dal lontano 1789 quando per la prima volta i fedeli si riunirono alla cappella di San Martino per raggiungere il luogo dove venne ritrovata la cappella per unirsi ai fedeli giunti dai paesi vicini ed incominciare una nuova processione con a capo la Madonna per giungere fino al ponte senza però mai attraversarlo, perché la tradizione ci tramanda il possibile susseguirsi di eventi catastrofici.
Va poi ricordata la processione del Santissimo che si svolge il sabato precedente la festa quando i fedeli alla luce delle fiaccole percorrono il tragitto che va dal santuario al ponte, l’effetto è talmente singolare che sembra quasi che gli ultimi due secoli non siano passati.
A questa festa mobile si contrappone una fiera stabile, l’otto settembre è infatti il giorno della fiera e la precisione è tale che se la seconda domenica di settembre è domenica la festa viene rinviata alla domenica successiva. Dato questo che testimonia ancora una volta quanta importanza avessero nelle anonimie rurali le manifestazioni come le fiere. Si trattava di momenti di aggregazione certa ma soprattutto propulsione per l’economia locale che era prevalentemente agricola.
Il sentimento religioso verso la Madonna di Costantinopoli è così forte per i felittesi che non solo ritornano ogni anni per assistere alle celebrazioni ma rappresenta questo piccolo santuario il senso di appartenenza al proprio paese. I felittesi che alla fine dell’ottocento lasciarono il proprio paese per cercare fortuna in America e si ritrovarono a fare i minatori nelle miniere di carbone della Pennsylvania fecero costruire ad old Forge una piccola cappella dedicata appunto alla Madonna di Costantinopoli e ogni anni, in concomitanza con i nostri festeggiamenti qui a Felitto, lì si svolge il Felittese Italian Festival una serie di celebrazioni che ricordano i luoghi lontani da cui provengono.

Cappella di S. Vito Martire,

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La cappella di San Vito Martire è situata ai confini tra il territorio di Felitto e quello di Bellosguardo, nei pressi del fiume Pietra molto probabilmente per ricordare il luogo del martirio, ricompensa per avere liberato il figlio dell’imperatore Diocleziano dal demonio, che alcuni individuato alla foce del Sele.
L’originaria cappella non esiste più perché fu distrutta da una inondazione, quella che possiamo vedere oggi risale al 1850 ed è stata edificata grazie all’aiuto di una signora Italo-americana.
Nel febbraio del 1977, dei ladri entrati in chiesa, assieme ad altri oggetti portarono via anche il cagnolino che si trovava ai piedi della statua del santo.
La festa di San Vito era anche un importante momento economico perché nei giorni 12, 13 e 14 giugno vi si svolgeva una importante fiera di bestiame fin dal 1722 grazie ad una speciale autorizzazione concessa dal viceré Cardinale d’Altan il 15 luglio dello stesso anno.
Il rituale dei festeggiamenti, per certi aspetti ancora oggi rispettato, era molto preciso.
All’inizio del novenario, il 6 giugno, veniva issata sul punto più alto del castello del feudatario una bandiera bianca con lo stemma che doveva servire di invito ai fedeli. Il giorno 12, poi, l’immagine del santo veniva trasportata in processione dalla chiesa del paese a quella vicina al fiume Pietra. Apriva il corteo la bandiera del feudatario, colui che la portava era anche il responsabile della fiera e della festa. Tale ufficio veniva messo all’asta e ceduto al migliore offerente. Durante la processione, in segno di devozione venivano offerti taralli e vino. La mattina del 15 giugno la processione percorreva in senso inverso il tragitto, con l’aggiunta della squadra dei fucilieri, i quali esplodevano dei colpi a salve in segno di giubilo. Nel pomeriggio la bandiera veniva riconsegnata al feudatario.

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Oggi il rituale eseguito è il seguente.
Il 12 giugno la statua di San Vito custodita nella chiesa dell’Assunta viene trasportata alla cappella nei pressi del fiume Pietra facendo tutto il percorso a piedi. La mattina della festa i fedeli si recano alla cappella per riportare indietro in processione la statua di San Vito nuovamente nella chiesa dell’Assunta.
È consuetudine che ai portatori della statua vengano offerti taralli e vino e maggiori sono i taralli ricevuti maggiore era la strada percorsa trasportando il santo.
Questa offerta di cibo si dice abbia origine da una leggenda che vuole San Vito come protettore del vino e del grano. Il Signore era molto arrabbiato con gli esseri umani ed aveva cominciato a distruggere i campi coltivati allora San Vito lo pregò di smettere per permettere così almeno ai suoi cani di poter sopravvivere. Allora il Signore si fermò e così il grano fu salvo anche se da allora i chicchi di grano restarono solo nella parte alta dello stelo mentre prima partivano dal terreno fino in cima.
I taralli quindi rappresentano il cibo salvato dalla distruzione come il mazzo di spighe posto nella mano destra del santo in contrapposizione con la palma del martirio posta nella mano sinistra